Intervista a Mangiasogni

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Intervista a Mangiasogni

POPMed
Pubblicato da Raffaele Avico in Interviste · Sabato 15 Feb 2025
Tags: IntervistaSalutementaleMangiasogni
Ciao Valerio, apprezziamo molto il tuo lavoro e vorremmo porti alcune domande per delineare meglio il tuo intento divulgativo e approfondire alcuni concetti che affronti. Partiamo:

Per cominciare, potresti presentarti e raccontarci di cosa ti sei occupato negli ultimi anni?

Certo. Mi chiamo Valerio, e sono nato nel 1993 a Portogruaro, in provincia diVenezia. Dopo tanti anni tra band giovanili e politica locale, a gennaio 2019 ho deciso di aprire la pagina Instagram Mangiasogni, che nel frattempo è diventata il luogo dove condivido storie illustrate su tanti temi che mi appassionano, alcune di taglio più intimo e introspettivo, altre più di critica sociale e politica.

Seguiamo il tuo lavoro da tempo e notiamo come spesso racconti il passaggio all’età adulta e l’abbrutimento imposto dal tardo capitalismo. Cosa ti ha spinto a esplorare sempre più a fondo queste tematiche?

Direi che è stata un’evoluzione spontanea. Quando ho iniziato, nel 2019, ero un neolaureato 25enne che aveva appena trovato il lavoro “da adulti”, e volevo raccontare quello: il passaggio da una certa spensieratezza adolescenziale all’età adulta, con tutto ciò che ne deriva in termini di nuove responsabilità, solitudine, compressione del tempo libero. Poi, disegnando e scrivendo sempre di più, e ricevendo feedback dalle persone che iniziavano a seguirmi, ho iniziato a chiedermi come mai così tanti miei coetanei avvertissero la stessa sensazione di smarrimento. E così ho provato ad ampliare lo sguardo, non più solo alle emozioni che ciascuno prova in determinati momenti della storia o della propria vita, ma alle cause sistemiche alla radice di questa situazione.

Abbiamo recensito qui il tuo libro: ci racconti come è nato e qual è stato l’intento che ti ha spinto a scriverlo?

Il libro nasce da un desiderio sempre più forte di poter raccontare storie e mandare messaggi in modo diverso dall’iper-velocità e superficialità tipica dei social media. Oggi questo è un tema sempre più caldo, ma a me tormenta già da molto: le storie che condivido sui social sono spesso lunghe, complesse, fin troppo ricche di testo, e hanno sempre tradito una mia insofferenza a quel modo di raccontare, acuita poi dallo spostamento verso la dimensione del reel o short-form content. E così è nato “Niente come prima”, la storia di Edoardo e Rebecca: un romanzo per dire cose che avrei potuto dire in un saggio o un libro non-fiction, ma che volevo vivessero attraverso le vite e i dialoghi di due 25enni di oggi, non diversi da noi, dal nostro vicino, dal collega di lavoro, dal figlio o la figlia.

Negli ultimi tempi abbiamo percepito un tono sempre più critico nei confronti della content economy e del tuo rapporto con l’algoritmo di Instagram, insomma, delle dinamiche che regolano il lavoro dei creator. Ci racconti la tua esperienza?

Inizierei dicendo che il mio rapporto con l’algoritmo è sempre stato conflittuale. Ho avuto delle belle soddisfazioni, è vero, ma per i temi che ho sempre trattato, e il modo con cui lo faccio, sono stato spesso penalizzato con shadowban e ripercussioni simili. Diciamo che mi è sempre stato chiaro che la pagina di Mangiasogni non è veramente mia, ma è uno spazio gentilmente concessomi da altri, che hanno un potere assoluto di vita e di morte. Questo è stato ancora più evidente quando dall’alto è stato imposto lo spostamento verso i video. Il modello è chiaramente quello della Burnout Economy, dove i creator devono postare tantissimo, sempre, sempre meglio, inseguendo ogni trend, per non finire nel dimenticatoio. Per questo ho iniziato a sentire l’esigenza di spazi che fossero più miei, come i libri, il sito, la newsletter, gli eventi nel mondo reale.

Hai parlato recentemente di un progressivo allontanamento dal mondo delle piattaforme. Cosa intendi esattamente e cosa ti ha portato a sviluppare questa posizione sempre più polemica nel tuo lavoro divulgativo?

Il tema mi ha appassionato sempre di più man mano che mi addentravo nelle contraddizioni dell’economia dell’attenzione. Come utente ho iniziato a soffrire il modo in cui spendevo il mio tempo, perso tra contenuti senz’anima e spesso privi di ogni valore, e questo ha imposto delle riflessioni anche sulla mia attività da Creator. L’economia dei social media vive dell’attività dei Creator, che con il loro lavoro sperano di avere bei numeri, collaborazioni, inviti a podcast… se loro non creassero non ci sarebbe nulla da vedere, e i proprietari delle piattaforme dovrebbero inventarsi altro per catturare il nostro tempo. Una cosa che secondo me hanno già visto anche loro: Connor Hayes di Meta ha annunciato che un obiettivo chiave della sua azienda sarà introdurre utenti e Creator che in realtà saranno bot AI. Probabilmente così riusciranno a prevenire possibili fughe dei Creator. Per tutti questi motivi, che secondo me vengono ancora prima delle collocazioni politiche dei vertici aziendali dopo le varie elezioni, penso sia sempre più necessario ricominciare a immaginare internet oltre e dopo le piattaforme. Parliamo di una delle infrastrutture più importanti della storia umana, ed è un peccato lasciarla nelle mani di pochissime, potentissime, miliardarissime mani. Questo passaggio però richiede uno sforzo congiunto di Creator e utenti: i Creator devono avere il coraggio di vedere un mondo oltre, gli utenti devono avere la forza di uscire da una fruizione di contenuti gratuita, iper-accessibile, frenetica e “brainrottante”

Restando in tema di piattaforme e Internet, oggi assistiamo a una polarizzazione estrema: da un lato gli apocalittici, dall’altro gli entusiasti. Tu dove ti collochi? E quale ruolo credi abbia l’infrastruttura mediatica in cui siamo immersi nel determinare lo stato mentale e il benessere psicologico degli individui? Alcuni sostengono che lo strumento sia neutrale e che tutto dipenda dall’uso che ne fa il singolo. Sei d’accordo?

Tra quei due estremi, direi gli apocalittici! La trasformazione a cui stiamo assistendo non va assolutamente sottovalutata. Le nostre vite ormai sono diventate ibride, con la componente online che ha avuto un ruolo sempre più importante fino a quasi diventare centrale. Internet è così ben inserito nelle nostre vite che ci accorgiamo della sua esistenza solo quando manca, per qualche motivo. Non possiamo non prenderci cura di questo aspetto e di tutto ciò che vi ruota attorno. Lo ripeto perché è importante: ad oggi internet è centralizzato, a scopo di lucro, nelle mani di pochissimi, che in questo momento storico hanno anche tutti la stessa collocazione politica. Quindi no, non sono d’accordo sul fatto che lo strumento sia neutrale. Lo strumento è nelle salde mani di corporation a scopo di lucro, che fanno dell’estrazione di tempo, attenzione e dati personali il loro core business, che premiano i creator in base a quanto riescono a tenere le persone incollate sullo schermo, spesso usando indignazione, rabbia e polarizzazione come esche per portarci e tenerci sugli schermi. Non c’è niente di neutrale in tutto questo, e per quanto sicuramente l’utente possa responsabilizzarsi verso condotte più virtuose e consapevoli, di certo le piattaforme social non sono esenti da responsabilità.

Ci racconti come ti prendi cura della tua salute mentale?

Innanzitutto, compatibilmente con i ritmi del lavoro e della vita, provo ad avere attenzione per le mie energie e il mio tempo, coltivando gli affetti e provando a non sovraccaricarmi troppo - non ci riesco spesso, anzi. In questo, anche il rapporto con i device fa la sua parte: ho già eliminato le serie TV e il binge watching dalla mia vita, e spero di avere presto un rapporto migliore con lo smartphone, magari per passare più tempo all’aperto. Su questo sto sperimentando sempre più spesso l’utilizzo di un cosiddetto dumb phone, ovvero un vecchio Nokia del 2008 di mio fratello, o lo sviluppo di un PC che possa solo accendersi e scrivere, sostanzialmente una macchina da scrivere digitale e portatile. Poi ovviamente ho seguito un percorso di terapia, un’esperienza che consiglio a chiunque ne abbia la possibilità, e che spero possa essere prestissimo per tutte le tasche.

Per concludere, ci suggeriresti alcuni spunti di riflessione? Libri, film o qualsiasi altra cosa che pensi possa arricchire chi ci segue.

Sicuramente consiglierei “Scansatevi dalla luce”, di James Williams, che fornisce un’interessante panoramica sull’economia dell’attenzione. Sempre come libro c’è “Riavviare il sistema” di Valerio Bassan, bella riflessione sulla storia di internet e la sua trasformazione nel tempo, con l’avvento delle piattaforme - non solo social, ma anche streaming, delivery ecc… in generale poi anche YouTube ha valide risorse sul punto, magari anche sul concetto di enshittification, legato proprio all’evoluzione delle piattaforme una volta che queste hanno preso pieno controllo di internet.

Grazie mille! Grazie a voi!


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