Introduzione al concetto di neojacksonismo (in relazione al trauma)

Vai ai contenuti

Introduzione al concetto di neojacksonismo (in relazione al trauma)

POPMed
Pubblicato da Raffaele Avico in Psicoterapia · Sabato 15 Mar 2025
Tags: traumaneojacksonismo
Diversi lavori hanno negli ultimi anni messo l’accento su una domanda: perché non si parla di Janet, nella teoria sul trauma? Dove va collocato l'apporto di Pierre Janet nelle teorie che tentano di spiegare la genesi di un disturbo psichiatrico?
 

Sappiamo che la psicoanalisi freudiana -già dagli inizi- era un modello teorico che metteva l’idea del trauma al centro: le risposte delle pazienti isteriche del tempo, sarebbero state originate da fallimenti nel processo di rimozione che Freud aveva pensato come messo in atto attivamente dai pazienti. Il problema erano le reminiscenze degli eventi traumatici, che in seguito Freud aveva connesso ai temi della sessualità -intesa in senso ampio. Come qui avevamo già scritto, Janet aveva invece concettualizzato la nascita di un disturbo come un fallimento dei processi di sintesi da parte delle funzioni mentali: a differenza di Freud, dunque, la risposta a un evento avrebbe indotto nella mente di un individuo uno sconvolgimento che non sarebbe stato in grado di "sintetizzare", di elaborare psicologicamente.
 

La differenza sostanziale che ha fatto ri-prendere in considerazione il lavoro di Janet, rivalutandolo al punto di farlo diventare il “padre” della moderna psicotraumatologia, era forse che tra i vari meccanismi in grado di corrompere il normale funzionamento della mente di un individuo, non ci fosse nulla di attivo o “intenzionale”; non c’era un voler rimuovere eventi “scabrosi” spingendoli in zone non accessibili alla coscienza (come nella rimozione freudiana): c’era invece una risposta “naturale” ad un evento in primo luogo ambientale successo all’esterno dell'individuo, oppure attivato dall’esterno e “ingigantito” internamente al punto da divenire dominante e traumatico in senso psicologico.
 

Negli ultimi anni il pensiero di Janet ha sempre più trovato diffusione, in ragione della sua affinità con un’idea di mente molto moderna, spinta da ricercatori del calibro di Damasio o Panksepp, e delle a sua compatibilità con teoria altrettanto moderne come la teoria dell’attaccamento di Bowlby. Negli ultimi anni, la psicoanalisi si è aperta a influssi provenienti da altre discipline, maggiormente “neuro”: è da poco stato pubblicato un lavoro (che qui abbiamo recensito) a proposito della memoria procedurale e degli automatismi da essa innescati all’interno della vita dell’individuo, un’idea di inconscio “non rimosso” in grado di contenere in sé le memorie relazionali più antiche e più potenti nell'influenzare la vita dell'individuo nel suo svilupparsi. Questo modo di pensare all’architettura della mente rientra nella cornice di una visione” gerarchica" dell'organo mente-cervello, che viene da alcuni studiosi chiamata visione "neo-jacksoniana".

 
Per tentare di spingere questa visione delle cose, l'AISTED ha da poco messo insieme un gruppo di lavoro a tema, qui raggiungibile.
 
Se chiediamo a ChatGpt 4o di fornire una descrizione breve del concetto di neo-jacksonismo, possiamo farci un’idea di come in questa prospettiva venga pensata la malattia mentale. Vediamo come ce la sintetizza l’AI:
 

“La concezione neo-jacksoniana del cervello rappresenta un modello teorico che si ispira alle idee del neurologo britannico John Hughlings Jackson (1835–1911) e che è stato successivamente sviluppato da studiosi come Henri Ey. Questo approccio interpreta l'organizzazione e il funzionamento del sistema nervoso centrale in termini gerarchici ed evolutivi, enfatizzando la stratificazione delle funzioni neurologiche.
Principi fondamentali della concezione neo-jacksoniana:

1. Organizzazione gerarchica: Il cervello è strutturato in livelli funzionali sovrapposti, dove le aree più antiche e primitive governano funzioni basilari e istintive, mentre le aree più recenti e evolute controllano funzioni cognitive superiori e comportamenti complessi. Ad esempio, le strutture sottocorticali sono responsabili di risposte automatiche, mentre la neocorteccia gestisce processi cognitivi avanzati.
2. Evoluzione filogenetica: Questa teoria suggerisce che, nel corso dell'evoluzione, nuove strutture cerebrali si siano aggiunte a quelle preesistenti senza sostituirle. Pertanto, le funzioni delle strutture più antiche sono integrate e modulate da quelle più recenti, creando un sistema complesso e interconnesso.
3. Integrazione e disintegrazione: Secondo Jackson, le funzioni cerebrali superiori esercitano un controllo inibitorio su quelle inferiori. In caso di danno o compromissione delle strutture superiori, si verifica una "dissoluzione" delle funzioni, portando a una predominanza delle attività più primitive e automatiche. Questo concetto è stato applicato per comprendere fenomeni come le crisi epilettiche, dove la perdita di controllo corticale può causare manifestazioni motorie involontarie.
4. Modello evolutivo del cervello: La concezione neo-jacksoniana è affine alla teoria del "cervello tripartito" proposta da Paul MacLean, che suddivide il cervello in tre componenti: il "cervello rettiliano" (complesso R), responsabile delle funzioni istintive; il sistema limbico, associato alle emozioni; e la neocorteccia, sede delle funzioni cognitive superiori.

Implicazioni cliniche:
Questa visione ha influenzato la comprensione di diverse condizioni neurologiche e psichiatriche. Ad esempio, nella schizofrenia, si osserva una "dissoluzione" delle funzioni cognitive superiori, con una conseguente emergenza di comportamenti più primitivi. Inoltre, ha fornito una base teorica per interpretare i disturbi dissociativi e le risposte al trauma, evidenziando come la compromissione delle funzioni integrative superiori possa portare a una frammentazione dell'esperienza cosciente. In sintesi, la concezione neo-jacksoniana offre un quadro interpretativo che integra aspetti evolutivi, anatomici e funzionali del cervello, fornendo una chiave di lettura per comprendere sia il normale funzionamento neurologico sia le sue alterazioni patologiche.”

Tendenzialmente ognuno di noi sperimenta quotidianamente il fenomeno per cui nella nostra mente si sviluppano pensieri in linea con una certa emozione sperimentata, come se il pensiero stesso fosse un sottoprodotto del funzionamento cerebrale nel suo complesso, un epifenomeno degli aspetti emotivi che -nell’ottica del cervello tripartito, appunto- vi soggiacciono. Tra il pensiero e l’emotività sembrerebbe prevalere, entro questa visione delle cose, l’emotività -e con essa le strutture più arcaiche della nostra mente.

 
Nei pazienti gravi, per esempio affetti da psicosi, esisterebbe in questa visione della psicopatologia un’alterazione delle funzioni di sintesi e una sospensione/bypass dei dispositivi psichici in grado di tradurre/simbolizzare/cognitivizzare contenuti emotivi maggiormente grezzi, il che genererebbe una regressione del pensiero del paziente a forme infantili, dominate dalla condensazione (per usare un concetto freudiano), dalla confabulazione, come succede nei bambini piccoli (che di fatto non hanno ancora sviluppato aree del cervello in grado di comunicare ed elaborare quei vissuti, così intensi); ma lo vediamo anche quando siamo in balia di emozioni troppo forti, come appunto dopo un evento traumatico: la nostra mente non è in grado “cognitivizzare” i contenuti emotivi che la abitano, che si presentano alla coscienza come non elaborati, poco gestibili, invadendo lo schermo della coscienza in modo incontrollato e vivido: anche qui, nella prospettiva neo-jacksoniana, sarebbero le aree più profonde del cervello a essere coinvolte, e diventerebbe impossibile per l’individuo regolare uno stato di attivazione così potente, caratterizzato da risposte inevitabili in quanto pienamente animali, "istintuali" (pensiamo appunto al trauma). Se ci spingiamo in fondo a questa concezione del complesso cervello-mente, possiamo ipotizzare che l'intero sistema sia mosso da meccanismi giustificati in senso evoluzionistico, e che le varie forme di psicopatologia possano trovare una spiegazione plausibile se osservate da un punto di vista anche solamente evoluzionistico, come afferma Marco del Giudice qui, inserite in uno schema esplicativo di agile utilizzo (come appunto il modello neojacksoniano).
 
 

Negli ultimi anni, grande promotore di questo modello di mente-cervello fu Giovanni Liotti e più recentemente Benedetto Farina. Un autore da approfondire per chi vi si volesse addentrare è Russell Meares, per esempio con questo fondamentale articolo del 1999. Oppure, Henri Ey.
 


Non sono presenti ancora recensioni.
0
0
0
0
0

copyright 2025 - tutti i diritti riservati
Torna ai contenuti